Non Sono Bravo con lelangue and parolee.这句话什么意思啊

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Amore, amore, amore, amore… si parla tanto dell’amore.
Ma l’amore, quello vero, parla poco.
Più che altro agisce.
L’amore non ha parole, è un impulso interiore, un modo di essere e di sentire la vita, una scelta che parte dal centro di noi stessi e a cui non è possibile sottrarsi.
Anche quando incontra la disapprovazione del mondo.
L’amore si muove con noncuranza, indifferente al giudizio degli altri.
Libero dai precetti, dai contratti e dalle regole.
Esiste a prescindere dalla ragione, proviene da una saggezza diversa dalla logica e utilizza i codici pervasivi della Totalità.
L’amore è per sempre ma non è sempre uguale.
? mutevole, cangiante, in continua evoluzione.
? un percorso che dall’io ci guida a incontrare il tu, l’altro, il diverso, lo straniero… fino a scoprire che ognuno rispecchia un aspetto della nostra molteplice verità.
Anche quando questa verità non ci piace.
L’amore è una saggezza fatta di intuizioni.
Perciò parlarne è difficile.
E spiegarlo è impossibile.
Possiamo descriverlo, ma non possiamo conoscerlo finché non lo attraversiamo personalmente.
Nella separazione si parla dell’amore quando finisce.
Ma l’amore non finisce, evolve.
E per noi è difficoltoso riconoscerlo nel momento in cui assume fattezze poco conosciute.
Siamo abituati a distinguere le forme emotive che ci sono state spiegate dai genitori e dagli insegnanti, che sono state descritte nei libri, che abbiamo visto nei film o alla televisione.
Ci sconcertano i sentimenti di cui non si dice niente, quelli che la chiesa non riconosce, che si agitano dentro senza fare scalpore nel mondo o che compiono gesti contrari alle consuetudini.
L’amore nella separazione è un amore ancora poco conosciuto.
Poco raccontato.
Poco ascoltato.
Viviamo nella civiltà dell’usa e getta e ci hanno convinto che persino gli affetti si debbano plasmare nelle forme utilitaristiche del consumismo.
Così, ci aspettiamo di trovare la permuta, l’interesse o lo scambio anche nell’affettività.
L’amore, però, è un’energia indomabile, se ne infischia delle convenzioni.
? una forza sovversiva che tracima nel mondo interiore, scatenando un irrefrenabile caos.
Ogni tentativo di arginarne la potenza è destinato a provocare pericolose conseguenze ed è l’origine di tante patologie psicologiche e fisiche.
L’amore è passione, estasi, rapimento, malattia e guarigione.
Ma per assaporarne il potere miracoloso e maieutico è necessario aprirsi alle sue leggi, fatte di generosità, sincerità e cambiamento.
Solo così possiamo accogliere la sua forza rigenerante e rinnovatrice.
Bloccarne la potenza scatena la guerra nel mondo emotivo e provoca una valanga di conseguenze negative.
L’amore nella separazione è cambiamento.
E non si può sottovalutarne la portata.
Ci costringe a cimentarci lungo la strada che dalla fusione conduce allo sviluppo dell’autonomia.
? un compito difficile, un passaggio importante nella conquista della maturità.
Lasciare liberi se stessi e il partner di proseguire la vita da soli, presuppone una grande profondità interiore.
Bisogna essere davvero capaci di amare per permettere e permettersi l’autonomia.
Sciogliere un matrimonio, infatti, non vuol dire soltanto terminare un contratto legale, significa affrontare un momento di crescita intimo, lancinante e delicato, e imparare a cavalcare la tigre della trasformazione senza lasciarsi trascinare dalle abitudini, dal conformismo e dal desiderio di demandare ad altri le proprie responsabilità.
L’amore nella separazione trova un compimento profondo e intreccia la libertà con la maturità, senza pretendere e senza delegare.
Con fiducia.
Con comprensione.
Con generosità.
Con autenticità.
Carla Sale Musio
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Il termine intuizione si riferisce a una forma di conoscenza che non è spiegabile a parole e che compare nella mente come un lampo improvviso, senza bisogno di usare la ragione.
C’è chi la chiama illuminazione, presentimento, sesto senso, presagio, insight…
Certamente non la si può forzare.
Fa capolino all’improvviso tra i pensieri regalandoci un’immagine, una frase, un’idea nuova.
E spesso sparisce altrettanto rapidamente, senza che si riesca neanche a ricordarsene.
? un sapere che utilizza canali diversi da quelli che adoperiamo abitualmente, permettendoci di accedere di colpo a una visione insospettata della realtà.
Si tratta di una conoscenza che abbiamo tutti (anche se qualcuno è più predisposto di altri), ma non tutti siamo pronti a darle l’importanza che merita.
Dal punto di vista neurofisiologico, l’intuizione corrisponde all’emisfero destro del cervello e ci regala una comprensione imprevedibile per la logica dell’emisfero sinistro.
La scienza ufficiale non se ne occupa.
Il buon senso comune la tratta come un fenomeno curioso e privo di valore.
La magia l’ha riservata a pochi eletti, dotati di poteri soprannaturali.
La psicologia, invece, la considera con rispetto, seguendone le indicazioni come fari nel buio in grado di indicare il cammino quando la razionalità mostra il suo limite.
L’intuizione è un sapere prezioso per la psiche, e consente di avere una conoscenza immediata e profonda ma, per poterne usufruire, è necessario superare le barriere dello scetticismo che la cultura materialista ha elevato contro ciò che non si può toccare, comprare e monetizzare.
Tutti i bambini sono portati a usare spontaneamente l’intuizione per orientarsi nella vita ma, crescendo, l’apprendimento scolastico finisce per strutturare una gerarchia tra gli emisferi del cervello, potenziando l’emisfero sinistro a discapito di quello destro.
Le competenze dell’emisfero destro, infatti, non interessano i programmi scolastici che, dopo le prime classi della scuola elementare, abbandonano completamente le attività creative e le competenze affettive e psicologiche, in favore di acquisizioni logiche e matematiche.
L’empatia, l’ascolto partecipe e attento ai vissuti interiori, il rapporto con gli animali, con l’ambiente e con l’ecosistema, sono argomenti totalmente assenti dalle indicazioni ministeriali.
La scuola dell’obbligo si preoccupa di crescere persone capaci di adattarsi a un mondo dove i pochi gestiscono i molti, e dove l’autonomia, la soggettività, la cooperazione e l’ascolto delle sensazioni intime sono considerati argomenti obsoleti, privi d’importanza.
Bisogna osservare i fatti, la concretezza delle cose.
Non c’è spazio per l’indefinibile sensibilità interiore.
Per essere recepita e compresa dalla nostra mente, costantemente indaffarata a inseguire il successo e a far quadrare il bilancio alla fine del mese, l’intuizione ha bisogno di una attenzione e di un ascolto silenzioso e accorto.
Perciò, crescendo viene accantonata, snobbata e derisa, e con l’ingresso nella maturità nessuno si ricorda più dei suoi poteri.
La vita frenetica nella quale siamo immersi ci costringe a ignorarne gli insegnamenti o a trattarli come elementi di disturbo.
? in atto un programma d’indottrinamento sociale volto a cancellare qualsiasi consapevolezza del mondo intimo e a negare il valore della soggettività, per esaltare un’oggettività sempre più protesa verso il cinismo e l’indifferenza, quasi fossero una conquista per la coscienza, piuttosto che una patologia.
Dobbiamo disimparare a usare l’intuizione per servirci soltanto delle nostre protesi tecnologiche.
Dobbiamo dipendere da oggetti sempre più sofisticati e costosi.
Dobbiamo dimenticare il sapere misterioso e profondo che appartiene all’inconscio.
Forse è questo che ci fa sentire così lontani dalle altre forme di vita.
Per gli animali l’intuizione è uno strumento di conoscenza indispensabile e potente.
In natura nessuna creatura potrebbe sopravvivere senza intuizione.
Per le altre specie l’intuizione è sapere, conoscenza, saggezza, direzione e guida che insegna a muoversi nell’ambiente senza trascurare le esigenze dell’ecosistema.
Gli animali gestiscono una cultura che l’uomo ha abbandonato.
Conoscono un sapere che nessuno di noi ricorda più.
Sanno che il rapporto tra gli organismi viventi e l’ambiente che li circonda, è importantissimo e vitale per la sopravvivenza.
Ma si sa… gli animali sono meno intelligenti.
Non distruggono il pianeta, non hanno bisogno di lavorare per vivere, non possiedono il denaro, non conoscono le malattie mentali, la pedofilia, l’anoressia, la bulimia, la perversione, la corruzione, il bullismo, l’omofobia, lo schiavismo, la globalizzazione e tutte le infinite crudeltà che appartengono alla razza umana.
Gli animali non hanno perso il contatto con il valore delle emozioni, ascoltano costantemente le proprie sensazioni e mantengono vivo un dialogo interno con ciò che, forse, non si può toccare ma, certamente, si può sentire e ci permette di stare bene o male.
Perché il bene e il male sono principalmente modi di percepire dentro ciò che succede fuori.
Purtroppo però, chi possiede una cultura improntata all’ascolto delle percezioni interiori, per gli esseri umani è una creatura di serie B, priva d’intelligenza e perciò passibile di ogni sfruttamento.
L’unica razza creata da Dio a propria immagine e somiglianza sta bene attenta a distinguersi da tutte le altre, fregiandosi di un sapere che ha perso ogni contatto con il potere invisibile dell’emotività e delle sensazioni.
Si deve essere tutti d’un pezzo, pronti a nascondere la vita intima anche a se stessi.
E quando le voci interiori urlano la loro presenza nella psiche (nonostante i nostri tentativi di lobotomizzarle) abbiamo tanti psicofarmaci colorati, pronti a ripristinare la chimica impazzita di un cervello che ha perso le radici della propria profonda verità.
In questa nostra società malata di civiltà, imparare a non usare l’intuizione è diventato un dogma.
E chi si ostina a sostenere il valore di un contatto costante con l’emotività, paga il prezzo della derisione o peggio, come succede alle specie diverse dalla nostra, diventa passibile di ogni brutalità.
Perché l’intelligenza per la nostra razza è sempre e solo quella del più forte e la sopraffazione, si sa, non ha bisogno di giustificazioni.
Carla Sale Musio
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“Aiutooooo!!! Non mi sopporto più! Come posso liberarmi di me?!”
Succede, a volte.
Qualcosa dentro comincia a bastonarci di rimproveri e più cerchiamo di sfuggire quel borbottio assillante e brontolone, più la voce nella testa si accanisce snocciolando un rosario interminabile di disgrazie.
Un Critico Interiore non perde occasione per rimproverarci, lasciandoci sconfitti e privi di fiducia nelle nostre possibilità.
Nascosto tra le sue gambe c’è un Bimbetto Spaventato che teme il giudizio degli altri.
Il Critico, per paura di esporlo al biasimo del mondo, non gli risparmia la sua arringa, certo che sia preferibile una disapprovazione intima e costante piuttosto che la condanna della società.
Nel tentativo di proteggere la nostra vulnerabilità da delusioni ben peggiori, il Critico ci critica in continuazione, spinto dal nobile obiettivo di fortificarci e renderci capaci di misurarci con la durezza dell’esistenza, ma ignaro di quanto le sue accuse ininterrotte possano diventare esasperanti.
Per sfuggire a questa tirannia è indispensabile ridimensionare il confronto spietato con le persone che abbiamo attorno, imparando a vivere con più tolleranza noi stessi e gli altri.
Possiamo stimarci e volerci bene solo quando smettiamo di proiettare il disprezzo e accettiamo la molteplicità dei punti di vista come una ricchezza, invece che come una pericolosa mancanza di uniformità.
I Maya si salutavano l’un l’altro con il detto tradizionale:
in lak’ech
che significa:
io sono un altro te stesso
In lak’ech esprime una fratellanza basata sull’accoglienza di tutte le diversità.
Ogni persona che incontriamo ci racconta qualcosa di noi, mostrandoci una differente possibilità di essere.
Ognuno incarna un aspetto del nostro mondo interiore.
I Maya avevano compreso che alla base di ogni rapporto ci deve essere unità e sapevano scorgere nell’altro una manifestazione diversa della stessa Fonte.
Oggi, il razzismo si annida in fondo all’anima e ci impedisce di accogliere la pluralità del Tutto, rinchiudendoci in schemi di pensiero prestabiliti che chiamiamo: razze, istruzione, intelligenza… scatole di pregiudizi che imprigionano la molteplicità e impediscono di avvicinarci gli uni agli altri.
Una cultura nuova deve partire da un modo nuovo di interpretare se stessi e la vita.
Non più vittime di un giudizio discriminante e foriero di guerre, ma intenzionati a scoprire la vastità dell’esistenza osservando nell’altro i modi di essere che ancora non siamo riusciti a integrare dentro di noi.
Facile a dirsi!
Le cose si complicano quando chi abbiamo di fronte impersona gli aspetti che giudichiamo sbagliati in noi stessi.
La brutalità, l’ingiustizia e la prepotenza sono modi di essere che non vorremmo vivere.
Caratteristiche che non ci piace avere e che cerchiamo a tutti i costi di evitare.
Tra il bene e il male, scegliamo sempre il bene.
Questa nitida divisione, però, è l’origine di tanti conflitti e di tanta sofferenza.
La violenza e la crudeltà in principio esistono dentro noi stessi e, benché non ci piacciano, fanno parte del pacchetto di possibilità che la vita ci ha messo a disposizione e che dobbiamo imparare a gestire.
E ad evolvere.
Salvaguardare il bene eliminando il male può diventare molto pericoloso, quando ci spinge a proiettare all’esterno le cose che giudichiamo sbagliate.
Dividere il mondo in buoni e cattivi, porta a combattere i cattivi come se fossero dei nemici.
Le divisioni generano le guerre.
Una società della pace deve imparare ad accogliere anche la malvagità, non per autorizzare la sopraffazione ma per evolvere l’aggressività, convogliandone l’energia in forme più gratificanti e positive.
Integrare ciò che consideriamo mostruoso permettendoci il coraggio di scorgerne l’esistenza in noi stessi, è il passaggio fondamentale nella transizione verso un mondo migliore.
In lak’ech ci rivela il segreto di una cultura basata sull’amore.
Non escludere niente da se stessi.
Per raggiungere questo traguardo è necessario osservare con sincerità i propri vissuti profondi, esplorando il dolore nascosto dietro gli atteggiamenti che ci appaiono negativi.
In natura niente è sbagliato e tutto esiste in continuo mutamento e miglioramento.
Ma nelle profondità dell’inconscio:
l’ansia di essere giudicati, crea il giudizio
l’angoscia di essere emarginati, genera il disprezzo
la paura di essere abbandonati nasconde l’autenticità dietro l’urgenza di compiacere gli altri
il desiderio negato di affermare i propri talenti crea la violenza
Nessun bambino nasce cattivo.
La cattiveria è la conseguenza di un surgelamento emotivo che segnala una difficoltà a esprimere le proprie capacità.
Quando nel mondo interno la sofferenza diventa insopportabile, la proiezione consente di allontanare il dolore combattendolo all’esterno, come se non ci appartenesse più.
In lak’ech è la chiave che aiuta a ritrovare la Totalità da cui tutti proveniamo e che restituisce profondità alla vita.
Ma per comprenderne il significato senza distorsioni è necessario affrontare l’angoscia celata dietro ogni discriminazione.
Senza sfuggirla.
Etichettare gli altri come mostri, conduce a combatterne la violenza con violenza.
I mostri, infatti, incarnano i comportamenti che abbiamo escluso dalla nostra consapevolezza, le colpe che preferiamo occultare anche a noi stessi.
Nel mondo intimo di ciascuno, le cose che disapproviamo diventano orrori da eliminare, nemici da distruggere senza se e senza ma.
La crudeltà, l’emarginazione e la guerra sono espressioni della paura distorta di essere pienamente se stessi e segnalano una mancanza di verità interiore.
Fuori dal gioco difensivo della proiezione e della rimozione, infatti, possiamo osservare la vita in tutte le sue manifestazioni, senza accanirci a combatterle ma concentrando le energie e le risorse per creare armonia.
Così, mentre siamo pronti a puntare il dito contro i nostri simili, la musica cambia quando la violenza è considerata naturale e non riflette vissuti giudicati illeciti.
I fenomeni della natura sono meno evocativi per i nostri scenari interiori e questo ci consente di accoglierli senza combatterli, cercando di evolverne l’energia in forme più produttive e appaganti.
Tutto ciò che è naturale, non è né buono né cattivo, fa parte della vita e possiamo impegnarci a evitarne i danni senza bisogno di giudicarlo.
Sappiamo tutti che il vento forte può distruggere le abitazioni, ma non lo osteggiamo come fosse un avversario malevolo, abbiamo imparato a sfruttarne la potenza in modi utili e a costruire edifici più stabili.
Osserviamo un gattino che si diverte a cacciare i passeri in giardino, ma non lo consideriamo un pericoloso criminale. Facciamo in modo che non possa tormentare i nostri amici pennuti, mentre tentiamo di abituarlo a una convivenza pacifica.
Le cose che non coinvolgono direttamente il mondo interno, possono essere accolte e gestite con intelligenza, cercando di trasformarne le peculiarità in risorse.
I mostri prendono forma quando evocano qualcosa che un tempo era vivo dentro di noi e che è stato rinnegato.
La violenza con cui ci sforziamo di eliminare dalla psiche gli aspetti che non ci piacciono, genera la violenza nel mondo.
Una cultura nuova, priva di discriminazione e di giudizio, ha bisogno di integrare anche le nostre parti crudeli.
Questo non vuol dire permettersi di agire impunemente la crudeltà.
Al contrario!
Significa accettare l’aggressività annidata dentro noi stessi per evolverla e trasformarla, fino a liberarne le potenzialità costruttive.
La strada per la pace è l’accoglienza della Totalità del mondo interiore.
Integrare i Sé Rinnegati senza giudicarli e senza discriminarli è il primo passo verso una società capace di vivere in armonia.
Con tutti.
Carla Sale Musio
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Crediamo che la fine di una relazione sia uno degli avvenimenti più drammatici della vita ma, dal punto di vista psicologico, la separazione è un momento fondamentale nella crescita interiore.
In questa nostra società malata di utilitarismo, troppo spesso l’affetto è confuso con la dipendenza e con il bisogno di garantirsi un appagamento emotivo.
Una pedagogia nera, basata sulla prevaricazione e sul potere indiscutibile degli adulti, ci spinge a sovrapporre l’amore di coppia all’amore che lega i genitori ai figli, portandoci a pretendere dal partner una reciprocità incondizionata e totale.
Esigiamo la continuità nelle relazioni e, convinti che la separazione rappresenti sempre un fallimento, ci sembra impossibile riconoscere il valore evolutivo nella fine di un rapporto d’amore.
Sciogliere un matrimonio non è mai facile, significa abbandonare il sogno di una stabilità affettiva per cambiare le proprie abitudini, interiori e di vita.
Eppure… la capacità di separarsi è una tappa fondamentale della crescita e chi sa affrontare anche la fine di una relazione, ha un’occasione per imparare a voler bene con autenticità e senza possesso.
L’amore non cerca di garantirsi la sicurezza o la tranquillità e non coltiva l’opportunismo, l’ipocrisia e l’egoismo.
La maturità affettiva poggia sulla capacità di lasciare libero il partner (e se stessi) senza ostinarsi in una convivenza quando questa ostacola la crescita.
Finché siamo bambini, la dipendenza dai genitori (indispensabile per sopravvivere) ci porta a desiderare un amore incondizionato dove i grandi si adoperano ininterrottamente per il benessere dei piccoli.
? un sogno impossibile da realizzare in questa nostra dimensione materiale, imperfetta e costantemente alle prese con la dualità degli opposti, con il bene e con il male, con la fatica e con la leggerezza, con la dolcezza e con la crudeltà, con la gioia e con il dolore.
Anche chi ha avuto una famiglia premurosa e sollecita accusa la mancanza di una dedizione assoluta, possibile solo nella Totalità da cui, forse, tutti quanti proveniamo.
Ognuno di noi attende con ansia il momento di innamorarsi, per trovare finalmente un amore in grado di soddisfare quell’antico bisogno, portando a compimento le nostre fantasie infantili.
Nei miti, nelle leggende e nelle fiabe, la divinità, il mago, la fata o il principe azzurro, arrivano a salvarci dalla cattiva sorte per trasportarci in un mondo magico dove finalmente quei desideri troveranno il loro compimento.
Ma al di fuori dalle storie e dai racconti, nel ritmo frenetico della nostra quotidianità, siamo costretti a cimentarci con gli opposti, con l’imperfezione e con il cambiamento, che costellano la vita.
Ciò che in passato ha permesso di sperimentarci e di crescere trova nel presente il proprio limite.
L’evoluzione ci spinge inesorabilmente ad affrontare infinite trasformazioni, interiori ed esteriori, lungo un percorso evolutivo che non si arresta mai.
A questa legge non sfuggono nemmeno le relazioni, che attraversano un processo di cambiamento senza soluzione di continuità e che per questo vanno incontro a periodi di separazione.
Temporanei o definitivi.
Nel viaggio che dal bisogno di ricevere conduce verso un donarsi senza riserve, la separazione è uno step importante che ci accompagna a scoprire il valore dell’autenticità e della libertà.
La capacità di riconoscere e accettare la fine di una relazione, presuppone la sincerità e la reciprocità necessarie per sciogliere un matrimonio senza perdere la profondità del legame affettivo.
Non voglio parlare delle guerre legali, combattute per ottenere i beni materiali condivisi da una coppia.
Mi riferisco al dialogo indispensabile a rivelare (a se stessi e al partner) il proprio cambiamento interiore e le ragioni che fanno emergere la necessità di proseguire la vita lungo strade diverse.
Anche quando ci sono dei figli.
I figli, infatti, sono spesso un pretesto per rimandare quel confronto intimo e profondo che accompagna la fine di una storia d’amore.
Da quel dialogo e dalla capacità di comprendersi e di ascoltarsi, prendono forma le scelte che fanno della separazione un momento drammatico e carico di conflittualità o un momento di conoscenza, di crescita, di rispetto e di reciprocità.
Permettere la libertà non è facile, viviamo nell’era del consumo e del possesso.
Saper condividere la propria intima verità, con umiltà e con sincerità è l’aspetto più ricco e potente dell’amore e, a volte, è l’unico modo per riaccendere un rapporto che sembrava finito.
Occorre mostrare la propria anima con onestà, senza ipocrisie e senza avidità.
Il cuore conosce d’istinto la sincerità e davanti all’integrità emotiva rivela tutta la sua profondità.
In questa chiave, separarsi non è una fuga infantile dalle proprie responsabilità, ma un momento di conoscenza, foriero di una nuova saggezza.
Per viverlo pienamente è necessario abbandonare i pregiudizi che ci spingono a cercare compulsivamente un’altra metà di noi stessi, e aprirsi all’idea che la vita sia un passo di danza in cui ognuno sceglie il proprio ritmo e il proprio tempo, affiancando qualcuno per un tratto di strada.
O per sempre.
Senza volerlo trattenere.
La libertà è il presupposto più profondo dell’amore e il suo più grande insegnamento di vita.
Carla Sale Musio
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Cari lettori, amici e curiosi, sono emozionata e felice di condividere con voi la mia intervista su:
controvento verso di me
in cui racconto della mia vita, del mio lavoro, dei miei
e delle mie scelte spesso controverse…
Per leggerla basta cliccare il link qui sotto:
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Era un albero centenario nel profondo del bosco ombroso.
E le vie per raggiungerlo, intricate e nascoste.
I vecchi dicevano:
“Se hai un desiderio, devi sussurrarlo ai suoi rami”
Ma bisognava recare bei doni.
Infatti l’albero era esigente.
E voleva essere ripagato.
*** *** *** *** ***
A memoria d’uomo, pochi desideri erano stati esauditi.
Forse i doni erano miseri o scarsa la passione nel chiedere.
Nessuno sapeva rispondere.
Gli stessi vecchi scuotevano il capo canuto.
E tacevano.
*** *** *** *** ***
Viveva in un villaggio ai margini del bosco.
Mesi prima la madre, ormai vecchia e malata, l’ aveva chiamata a sé, l’aveva baciata in fronte.
Poi, aveva chiuso gli occhi per sempre.
E da allora lei non sapeva vivere.
Mai più i sorrisi, le tenerezze, le risate, le confidenze, mai più gli abbracci.
Soprattutto questo la straziava, non averla più accanto, non parlarle, non poterla guardare negli occhi.
*** *** *** *** ***
Fu allora che decise di cercare l’albero dei desideri, quello di cui i vecchi parlavano.
Portò con sé dei viveri, ignorando quando sarebbe giunta.
E una collana d’oro e ametiste.
La sua sola ricchezza.
*** *** *** *** ***
Ricordava i racconti dei vecchi nelle sere d’estate:
“Se nutri desideri profondi, il bosco ti aiuta”
E a lei sembrava proprio che il bosco la guidasse.
Al rumore di una frasca si era voltata e aveva intravisto un sentiero.
Poi, la danza di due farfalle l’aveva condotta.
Ed ecco all’improvviso l’albero antico, contorto di anni e di vento.
Gli si accostò, esitante.
Sentiva la linfa fluire e il mormorio difforme delle foglie.
Si inchinò a lui con rispetto e gli parlò.
*** *** *** *** ***
Quando tacque, attese per qualche lunghissimo istante.
Pareva non accadesse nulla ma, d’improvviso, sulla corteccia comparve un’immagine.
Con immenso stupore la figlia riconobbe il volto della madre.
Poi vide che tutta la figura di lei si stagliava lentamente sul tronco, assumeva rilievo.
E si animava.
Folle di emozione, cercò di toccare quel viso e quel corpo.
Allora, viva nell’aspetto, la madre aprì dolcemente le braccia e la strinse a sé.
La figlia sentì che il proprio corpo rinsecchiva, aderiva alla corteccia, diventava rami e foglie, attraversato dagli umori vitali.
E allora capì.
Lei e la madre, insieme, palpitavano nel grande respiro del mondo.
Ai piedi dell’albero, la collana di ametiste rifletteva nel viola opalescente i bagliori del tramonto.
*** *** *** *** ***
Passò il tempo.
I pochi a giungere in quel luogo sussurravano richieste, ma erano desideri miseri o inverecondi o feroci.
Nessuna risposta.
Non si mosse neanche una foglia.
Lei e la madre, intanto, esistevano nell’essenza dell’albero, si nutrivano della stessa energia.
E il tempo scandiva per loro le stagioni e gli istanti.
*** *** *** *** ***
Da mesi ormai non si vedeva nessuno, quando una sera d’autunno giunse un uomo.
Non recava doni, ma si inchinò.
Poi prese a dire.
“Non ho nulla da offrirti, ma ascoltami. Ho viaggiato nel mondo tra splendori e brutture, albe, tramonti, prodigi e cieli infuocati. Ma l’amore, quello vero, l’ho cercato invano. E se vorrai donarmelo, te ne sarò grato.”
L’albero ascoltò quella preghiera, come aveva sentito le altre.
Ma palpitò per la profondità del desiderio.
E non si curò della mancanza di doni.
*** *** *** *** ***
Poi fu sconvolgente quanto accadde.
Uno schianto nel legno. E con forza l’albero strappò via da sé la figlia.
Lei si oppose ma, per quanto tentasse di aggrapparsi e resistere, si trovò sull’erba tra le radici nodose.
Di nuovo donna, nuda e piangente come appena nata.
Incapace di guardarsi intorno, i capelli a nascondere il viso, sentì allora la voce materna:
“Ti sarò sempre accanto, figlia d’oro”
*** *** *** *** ***
Abbattuta, spaventata, silenziosa.
Ma, in quel momento, delle mani strinsero le sue, la sollevarono saldamente e le posero un indumento ampio sulle spalle, a proteggerla.
Come avrebbe fatto anche un padre.
Lei alzò esitante lo sguardo.
E incontrò l’azzurro degli occhi dell’uomo, ancora stupiti dal prodigio inatteso, ma inteneriti.
E sorridenti.
Gloria Lai
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Sembra un’affermazione forte.
Eppure è la verità.
La vita è uno stato d’animo.
Un modo di decodificare gli avvenimenti che ci porta a sentirci bene o male, secondo come interpretiamo la realtà.
Un evento in sé non è né buono né cattivo.
Ma il nostro vissuto interiore determina profonde differenze nella percezione di ciò che accade.
Stare rinchiusi in una camera di tortura dove manca l’aria, il caldo umido toglie il respiro, la nebbia impedisce di distinguere i contorni delle cose mentre getti di aria rovente e di acqua gelata sferzano il corpo privo di vestiti, può essere un’esperienza angosciante o un benessere esclusivo (chiamato sauna), che le persone scelgono di vivere per ritemprarsi dopo una giornata di lavoro e sentirsi in forma nel corpo e nello spirito.
La differenza è nello stato d’animo con cui sperimentiamo l’esistenza.
Nel film “La vita è bella” un padre, deportato insieme al suo bambino, descrive a quest’ultimo la dura realtà dei campi di concentramento e delle torture inflitte agli ebrei, in un modo poetico e capace di fargli attraversare quella terribile esperienza come se fosse un gioco.
Il film, premiato con numerosi oscar, ci mostra in modo semplice ed efficace l’importanza della dimensione immateriale, evidenziando quanto la lettura degli avvenimenti determini la nostra verità.
Viviamo nella cultura dell’indifferenza e del cinismo e abbiamo perso il contatto con l’intimità dei sentimenti.
Questa lobotomia interiore genera innumerevoli sofferenze, psicologiche e fisiche, di cui non conosciamo la cura perché abbiamo nascosto le cause dietro una pericolosa anestesia emotiva.
Il pensiero materialista ci spinge a focalizzare l’attenzione solo sugli aspetti concreti, facendoci perdere di vista l’importanza di ciò che non si può toccare.
In questo modo la morte diventa una grande nemica, l’enigma con cui siamo costretti a confrontarci senza mai trovare risposte adeguate, il mistero che ci atterrisce perché ne abbiamo perso il valore intimo e profondo.
Ai nostri occhi, abbagliati dalla materialità, sembra assurdo che un corpo amato possa sparire nel nulla, inghiottito dalla vecchiaia, da un incidente o da una malattia di cui non si conosce la cura.
Quando muore una persona cara, ci sentiamo disperati e impotenti, e non ci aiutano i valori della fisicità, né la certezza di essere l’unica specie intelligente sul pianeta, l’unica razza creata da Dio a propria immagine e somiglianza.
Nonostante la nostra proclamata superiorità su tutte le altre creature viventi, in quei momenti difficili il dolore annichilisce ogni ragione, costringendoci a scoprire di aver perso le chiavi interiori dell’esistenza.
Gli animali possiedono una cultura differente dalla nostra e si affidano a un potere più grande, accogliendo con umiltà la fine del corpo.
Lasciano che la vita faccia il suo corso e nella morte riconoscono la potenza della Totalità.
Per loro l’immaterialità è un valore.
L’ascolto dei sentimenti e delle sensazioni intime è un codice di comunicazione, senza il cui aiuto non potrebbero nemmeno sopravvivere.
Le specie diverse dalla nostra usano con naturalezza la telepatia, il sesto senso e l’istinto.
E in questo sono profondamente diverse da noi.
Sanno intuitivamente, senza bisogno di parole, che esiste una dimensione invisibile agli occhi ma pregnante e indispensabile per la qualità della vita.
? uno spazio della coscienza in cui i legami affettivi intrecciano una realtà fatta di sensazioni che la ragione non comprende.
Gli scienziati la chiamano non località.
I mistici preferiscono parlare di Legge Universale, Dio, Estasi, Illuminazione… o altre cose del genere.
I pranoterapeuti lo definiscono campo energetico.
Il buon senso comune li addita come fenomeni paranormali.
Ognuno utilizza una diversa terminologia.
Ma tutti sono d’accordo nel dichiarare l’esistenza di una verità che non si percepisce con i sensi fisici e che esiste in una dimensione immateriale della realtà.
Una dimensione intangibile e importante perché dal suo riconoscimento dipendono il nostro benessere e la possibilità di vivere una vita appagante.
La morte ci mette bruscamente in contatto con la profondità della Totalità, costringendoci a riconoscere il valore dei legami emotivi.
Ma nei momenti in cui il dolore annichilisce il pensiero, è difficile articolare una comunicazione efficace e capace di individuare il senso profondo dell’esistenza.
Nella sofferenza non è possibile sperimentare le dimensioni immateriali perché il dolore impedisce l’ascolto dei messaggi interiori.
Per ritrovare chi abbiamo amato, anche in assenza del corpo fisico, occorre permettersi un contatto quotidiano col mondo intangibile dell’emotività.
Solo nell’unione intima, infatti, diventa possibile riconoscersi senza la concretezza a cui siamo abituati, e sperimentare il legame al di là dei cinque sensi che chiamiamo realtà.
Per muoversi nelle dimensioni rarefatte della coscienza è necessario imparare a distinguere i vissuti interiori e accogliere la propria sensibilità fino a concedersi la fiducia nella soggettività.
Fiducia e soggettività, infatti, sono i codici che ci consentono di andare oltre il corpo e di incontrarci fuori dalle coordinate dello spazio e del tempo.
Per potersi abbandonare al potere magico delle dimensioni più rarefatte è necessario abituare la mente alla verità del mondo interiore.
Occorre aprirsi a una cultura nuova fatta di sensazioni più che di azioni, di ascolto partecipe e attento, di empatia e di abbandono.
Per esplorare le dimensioni immateriali bisogna avere la possibilità di sorprendersi e permettere che l’ignoto si riveli in tutta la sua multiforme verità.
Nella Totalità valgono leggi diverse da quelle della fisicità.
Un amore privo di possesso, libero dai contratti e dalle pretese imposte dalle nostre tradizioni, dispiega le sue infinite potenzialità rivelandoci le leggi di un mondo che cammina da sempre affianco alla nostra fatica quotidiana, fatta di impegni, di fretta e di concretezza.
? un amore colmo di reciprocità, di rispetto e di attenzione per la verità dell’altro.
Anche quando questa verità non soddisfa le nostre aspettative.
? un amore fiducioso e innocente, come quello che hanno gli animali.
Qualcosa che bypassa la razionalità e ci connette con le profondità della vita.
Gli scienziati stanno ancora cercando di capirlo.
La ragione non se lo permette.
Il cuore lo riconosce d’istinto.
Senza bisogno di spiegazioni.
Carla Sale Musio
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Viviamo in un mondo malato di guerre, di dolori e di aggressività.
Un mondo che spesso ci riempie di orrore, lasciandoci inermi davanti al dilagare della sofferenza.
Vorremmo costruire una cultura nuova (in cui la morte sia il sereno compimento della vita e la vita sia un percorso volto a condividere i frutti della saggezza e della creatività) ma ci sentiamo piccoli davanti allo smisurato potere dei pochi che decidono le sorti dei tanti.
E ogni azione ci sembra inutile.
“Una goccia nell’oceano non può fare la differenza…”
Affermiamo arresi, mentre il ritmo frenetico delle incombenze quotidiane inghiottisce la volontà, intrappolando le speranze dentro una pericolosa indifferenza.
Se niente può essere fatto per costruire una realtà a misura d’uomo, allora tanto vale approfittare delle opportunità più o meno lecite, senza preoccuparsi delle conseguenze.
E i pochi che ancora sperano nel cambiamento, finiscono col delegare al soprannaturale il progetto di una società più giusta, auspicando un “al di là” capace di ribaltare le sorti sfortunate del “al di qua”.
Oscilliamo tra il cinismo e la spiritualità, inseguendo una stabilità in grado di farci sentire in pace con noi stessi e con gli altri.
E ci schieriamo dalla parte dei giusti, additando la cattiveria o la stupidità, nel tentativo di eliminarle dal mondo.
Poi condanniamo la crudeltà, invocando pene più severe per chi si fa beffe della debolezza e abusa del proprio potere.
Oppure sosteniamo di doverci occupare soltanto del nostro tornaconto, certi che “ognuno deve pensare per sé” perché “a essere gentili ci si rimette sempre”.
? in questo modo che alimentiamo la guerra nelle profondità di noi stessi e, senza saperlo, coltiviamo la brutalità nel mondo.
Inseguendo il sogno di una società più sana, ci sforziamo di eliminare tutto ciò che giudichiamo sbagliato confinandolo dentro una segreta dell’inconscio, convinti di potercene dimenticare per dedicarci alle nostre parti migliori.
Per essere come pensiamo che dovremmo essere e conformarci al modello di una vita perfetta, selezioniamo con cura le possibilità espressive a nostra disposizione, facendo spazio agli aspetti adeguati e reprimendo quelli poco presentabili.
Un Sé Perfezionista ed Esigente addita ciò che non va bene, colpevolizzando le emozioni che si discostano dall’immagine ideale e costringendoci a rinnegare le parti che manifestano atteggiamenti, pensieri e sentimenti poco gradevoli.
Un Giudice Interiore gli da man forte, condannando la cattiveria del mondo e incitandoci a schierarci dalla parte dei buoni, o dei forti, o dei furbi… a seconda dei casi.
Così occultiamo le imperfezioni dentro di noi, e combattiamo con ardore tutto ciò che le rappresenta nel mondo esterno, dando vita a tante guerre sante e alimentando l’ostilità e i conflitti.
Un Bambino Crudele, poco incline alla condivisione, ci istiga costantemente all’egoismo, incurante dei bisogni degli altri e delle buone maniere.
? impulsivo, prepotente, suscettibile, avido e opportunista.
Incarna tutto ciò che non ci piace.
? difficile ammetterne l’esistenza nella psiche.
? più facile nasconderlo, reprimendo e ignorando la sua voce interiore, piuttosto che accoglierne le ragioni mandando in pezzi l’immagine idealizzata di noi stessi.
Il Bambino Crudele rovina il gioco immacolato della perfezione, inchiodandoci alle responsabilità della nostra energia emotiva.
Non serve nasconderlo dietro un moralismo di facciata, separando arbitrariamente il bene dal male.
Una cultura nuova deve imparare a contenere interiormente gli opposti, accogliendo “i buoni” e “i cattivi” senza falsi perbenismi.
La vita emotiva è ricca di contrasti, e “il bene” e “il male” sono aspetti complementari di una stessa vitalità.
Imparare a tollerare la propria imperfezione interiore permette di accogliere anche l’imperfezione del mondo.
E ci aiuta a comprendere la profondità dell’esistenza, senza discriminare.
Questo non vuol dire permettere il dilagare della prepotenza.
Smettere di proiettare all’esterno le nostre parti negative significa guardare con sincerità se stessi e il mondo, e coltivare l’onestà necessaria a evolvere gli aspetti immaturi della psiche.
L’energia dei vissuti interiori non è né buona né cattiva e ci mostra, un passo dopo l’altro, il percorso di crescita che dall’ego conduce alla fraternità, riflettendosi nell’ambiente.
Non può esistere l’altruismo se prima non si riconosce l’egoismo in se stessi, non ci può essere la fratellanza se prima non si attraversa l’indifferenza, non si può condividere l’amore senza comprendere le proprie parti sgradevoli.
Religioni, guerre sante e buonismo vendicativo danno voce al bisogno inconscio di esprimere il Bambino Crudele (nascosto dietro un falso moralismo) e attuano una separazione arbitraria e pericolosa tra bene e male.
Uccidere i Sé giudicati illeciti, dentro o fuori di sé, coltiva la prepotenza, la violenza e le guerre nel mondo.
Carla Sale Musio
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Quando parlo di creatività, intendo la capacità di spostare il proprio punto di vista per osservare e interpretare le cose in modi sempre diversi.
Non mi riferisco a un’abilità artistica.
Un bravo artigiano non è necessariamente un creativo.
E non è detto che un creativo sia dotato di una grande manualità.
Voglio parlare di quell’intuizione che permette di far nascere qualcosa di nuovo dove tanti non riescono a vedere altro che forme abituali e scontate.
Spostare il punto di vista significa identificare altre possibilità dentro le situazioni che incontriamo abitualmente.
E’ stato dimostrato che il cervello tende a riconoscere soltanto le immagini che gli sono abituali e, letteralmente, non vede quello che non si aspetta di vedere.
Nella immagine qui sopra, vediamo un triangolo bianco che si sovrappone a tre cerchi neri.
Ma si tratta di un’illusione percettiva perché nella figura non ci sono né triangoli né cerchi.
Da un punto di vista geometrico, si tratta di tre settori circolari neri e tre angoli neri disposti con un certo ordine l’uno rispetto all’altro.
Al triangolo bianco, che noi distinguiamo con chiarezza, non corrisponde nessun oggetto fisico.
Il cervello, però, costruisce un’immagine che non esiste e riconosce quello che gli è più familiare, piuttosto che vedere ciò che è stato realmente rappresentato.
In quest’altra figura, invece, la rappresentazione di un volto femminile prevale sul disegno dell’albero e dei tre uccelli in volo, che sono stati effettivamente disegnati.
Anche in questo caso, il cervello riconosce per prima la forma di una faccia umana e solamente in seguito distingue gli uccelli e l’albero, che pure sono molto evidenti.
La forma archetipica del viso umano tende a prevalere sulle altre, perché è una delle prime che riconosciamo, già dai primi momenti dopo la nascita.
In questo disegno, realtà e finzione si alternano, creando in chi guarda un senso di disorientamento percettivo.
Tornando alla creatività, spesso un creativo riesce a vedere… anche quello che non si aspetta.
Perché non lo esclude a priori, anzi, lo cerca.
E proprio perché lo cerca, prima o poi, lo trova.
Ma come si fa a cercare qualcosa senza sapere cosa?
Non può trattarsi di un processo logico…
E’, invece, una disponibilità, una sorta di fiducia interiore, uno stato d’animo, qualcosa che la ragione non si spiega, ma di cui scopre l’esistenza con i fatti, cioè ad azione avvenuta.
Vediamolo meglio con un esempio:
“ Voglio trasformare questa giacca bucata in un capo originale e ricercato.”
Pensa la sarta, mentre lascia che l’idea creativa affiori spontaneamente nella sua testa.
Non fa nulla.
Semplicemente aspetta, fiduciosa che il buco nella giacca si trasformi… in un taschino!
Inaspettato e, per questo, originale.
La creatività funziona così.
Sposta il punto di vista e ci fa vedere una tasca là dove prima c’era soltanto un buco.
Non serve saper cucire per essere creativi.
Serve poter credere con fiducia che un buco possa diventare qualcosa di bello, invece che essere solamente un difetto.
E’ la fiducia che mette in moto il processo?
La fiducia da sola non basta.
Ciò che serve è la capacità di abbandonare il proprio modo di interpretare la realtà, per aprirsi ad una lettura completamente nuova.
Per me è un buco ma… cos’altro potrebbe essere?
Lasciare andare le proprie certezze e spostarsi in altre “realtà”.
Chi è creativo fa questo.
E chi è empatico?
Fa la stessa cosa.
Anche se creatività ed empatia sono qualità abbastanza diverse, presuppongono entrambe la capacità di abbandonare il proprio punto di vista.
L’empatia è la capacità di comprendere cosa un’altra persona stia provando e per riuscirci bisogna lasciar andare il proprio modo d’interpretare la vita per assumere quello di qualcun altro.
Spostare il punto di vista è un po’ come cambiare vestito, ci rende diversi, nuovi e aumenta la nostra ricchezza interiore.
Chi è capace di accantonare le proprie idee per provare a sperimentarne altre, acquisisce una maggiore elasticità, una plasticità interiore che inevitabilmente rende le emozioni più varie e più sfumate.
Così, creatività ed empatia, anche se sono diverse, spesso camminano insieme, componendo un modo variegato, ricco e polimorfo di percepire le realtà (interiori, esteriori, proprie, degli altri e delle cose).
E naturalmente, più sono utilizzate…più s’incrementano, vicendevolmente.
Torniamo adesso alle personalità creative…
Le personalità creative possiedono una naturale predisposizione a spostare il loro punto di vista e per questo sono spontaneamente portate all’empatia e alla creatività.
Ascolto dei sentimenti, intuizione, capacità di sintesi, concentrazione sul presente, facile accesso all’inconscio, attenzione alle relazioni… costituiscono le loro caratteristiche principali.
Carla Sale Musio
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Nel nostro mondo la sensibilità non è di moda.
Si deve essere imperturbabili, calmi, sereni e distaccati.
La manifestazione delle emozioni è mal vista.
Non si deve piangere e, soprattutto, non si deve essere felici.
La felicità non fa simpatia.
“Mal comune mezzo gaudio”
Recita il detto.
E, fedeli alla sua prescrizione, ci sentiamo bene quando possiamo esibire le disgrazie, facendo a gara per accreditarci il nobel della sfiga.
La condivisione della felicità, invece, ci rende inquieti.
Sentirsi bene è giudicato pericoloso.
Quasi che la sfortuna fosse costantemente in agguato, pronta ad accanirsi con chi osa sfidarla
manifestando emozioni di gioia.
“Ssssssssscccccchhhhhhh…. Non dirlo forte…!!!!!”
Sussurriamo circospetti, come se fosse immorale sentirsi soddisfatti e felici.
Le emozioni sono cose da bambini.
O da femminucce.
Roba per gente debole, insomma.
Siamo convinti che la maturità si raggiunga quando il controllo razionale e distaccato prende il posto dell’emotività.
? in questo modo che la sensibilità, la delicatezza d’animo, la capacità di ascoltare e comprendere i sentimenti, perdono il loro valore per trasformarsi in… stupidità!
? grazie a queste convinzioni errate che l’espressione dei vissuti interiori segnala impropriamente un’incapacità a far fronte alle esigenze della vita.
Il pregiudizio ha sepolto la sensibilità sotto una coltre di credenze negative, avviluppando l’umanità dentro una camicia di forza chiamata: autocontrollo.
Certo, abbandonarsi alle correnti emotive fa perdere di vista l’obiettività e trascina dentro una visione parziale della realtà.
Ma inibire la carica energetica delle emozioni crea gravi danni al sistema psichico.
La sofferenza psicologica è dappertutto, e l’eccessivo selfcontrol che caratterizza la cultura occidentale ne è il principale responsabile.
Le emozioni possiedono un’energia insopprimibile, non possono essere eliminate come zavorre inutili.
Per vivere bene e in perfetta salute, mentale e fisica, è indispensabile che il mondo interiore sia accolto e riconosciuto.
Questo non vuol dire abbandonarsi a sfrenate ridde sentimentali.
L’autocontrollo è la conseguenza di un ascolto attento e partecipe dei propri vissuti.
Bloccare le emozioni, reprimerle e sforzarsi di non ascoltarle, intrappola la più preziosa delle risorse trasformandoci in automi privi di intelligenza emotiva. E di creatività.
Prestare attenzione ai sentimenti, ammetterne l’importanza, il valore e la preziosità, significa riconoscere la propria umanità e aprirsi all’ascolto dell’unica verità capace di cambiare il mondo: l’empatia.
Ma cos’è l’empatia?
Noi psicologi chiamiamo empatia la capacità di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra creatura vivente, senza ricorrere alla comunicazione verbale.
Gli animali usano spontaneamente l’empatia per cogliere le intenzioni di chi hanno intorno e regolarsi di conseguenza.
Nelle specie diverse dalla nostra il riconoscimento e l’espressione dei sentimenti sono strumenti fondamentali per mantenersi sani, ascoltando i bisogni del corpo e osservando l’ambiente circostante.
A nessun animale verrebbe in mente di dissimulare ciò che sta provando per indossare una maschera d’impassibilità.
Per le altre creature che popolano la terra mostrare la paura, il dolore, la tenerezza, la gioia, l’entusiasmo, l’incertezza, la curiosità, la sorpresa… significa utilizzare un codice relazionale indispensabile per vivere bene e in armonia.
L’empatia permette a tutte le forme di vita di sentirsi parte di un ecosistema che contiene e delimita, rispettando gli equilibri naturali, permettendo la convivenza e preservando la salute di ciascuno, in modo da favorire la vita.
Solo l’essere umano (che di umano ormai non ha quasi più nulla) impone a se stesso una sordità emotiva così pericolosa da inibire la comprensione dei ritmi fisiologici, separandosi dalla natura e provocando tante malattie.
Gli animali non conoscono le patologie che affliggono la nostra razza (obesità, anoressia, diabete, nevrosi, psicosi, AIDS, cancro, SLA…) e condividono una cultura interamente basata sui codici emotivi e intuitivi, proprio perché per loro l’ascolto dei vissuti interiori è parte integrante della sopravvivenza.
Per noi, invece, empatia è sinonimo di smielati atteggiamenti infantili, e preferiamo ignorare la vita emotiva, ricorrendo a uno stuolo di specialisti (medici, dietologi, psicologi, psichiatri, neurologi…) per farci dire cosa succede nel nostro mondo interno.
L’indifferenza che consegue alla mancanza di empatia è la radice del cinismo e il presupposto più efficace per sostenere il mercato delle armi, le guerre, i soprusi e la distruzione che la nostra razza dis-umana porta avanti ai danni se stessa e di tutte le altre specie.
Uccidere la sensibilità dentro di sé ha lo scopo di allontanarci da una pulsante vitalità e di renderci docili e malleabili nelle mani di chi detiene il potere.
Un potere che può esistere soltanto grazie alla mancanza di sensibilità (e alla durezza che ne consegue) e che permette ai pochi che governano il mondo di accrescere indisturbati il loro dominio sui tanti.
Quel selfcontrol, così sbandierato da essere diventato sinonimo di maturità, è impropriamente confuso con il surgelamento emotivo e con un narcisismo patologico che ci spinge a credere di essere l’unica razza creata da Dio a propria immagine e somiglianza.
Ci è stato nascosto che la mancanza di empatia, l’onnipotenza e l’egocentrismo segnalano un’immaturità nella psiche.
Immaturità che va curata (e non incentivata) e che negli adulti costituisce una patologia.
La superiorità con cui ci arroghiamo il diritto di morte sulle altre forme di vita è una malattia che ammorba l’umanità e tiene in piedi la gerarchia della violenza, rendendoci vittime oltre che carnefici, e condannandoci a una sofferenza psicologica sconosciuta alle altre specie.
L’insensibilità, indotta ad arte sostenendo modelli di comportamento privi di emotività, ci allontana pericolosamente dalla nostra umanità.
Il surgelamento emotivo è una patologia, e non ha niente a che vedere con l’autocontrollo.
L’autocontrollo è la conseguenza di un ascolto attento e partecipe di tutte le energie che animano il mondo interiore, e non l’animosa ignoranza della nostra profonda ricchezza emotiva.
Uccidere la sensibilità dentro di sé per raggiungere una patologica mancanza di emozioni è la radice della violenza e la causa nascosta di tutte le guerre.
Carla Sale Musio
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